giovedì 12 luglio 2012

Parte I - Io sto con gli ippopotami


La storia del mio debutto nel regno di Simba incomincia di sabato sera. Lucius Banda, stella splendente nel panorama musicale malawiano si esibisce al Ndevu Lodge (il “barba” lodge, dall’evidente attributo del suo proprietario) ed è impossibile non cogliere al volo la proposta di un collega che ci invita ad andare con lui. È anche impossibile immaginare che dalle 17.30, orario in cui saliamo in macchina, il concerto abbia inizio a mezzanotte passata e duri – innaffiato da quantità spropositate di Carlsberg che mietono un dignitoso numero di vittime – fino alle 4 del mattino. In questo delirio musicale, lasciando da parte la vecchiaia incalzante che trasforma il mio volto in quello della Strega del mare a mezzanotteezerouno, la temperatura raggiunge minimi Vostokiani, omaggiandomi di una bella bronchite di benvenuto in risposta a tutti i luoghi comuni che mi portavo dietro (nella fattispecie il numero 7: “In Affriha gl’è cardo”).

Insomma, la mattina seguente, con 3 ore di sonno sulle spalle e la voce e le sembianze della signorina Silvani, mi preparo a conquistare la SAVANA!
La prima parte del safari, in perfetto stile Jonathan Livingstone, si svolge su di una barchetta a motore, che risalendo il fiume Shire ci teletrasporta in un vero documentario di Piero Angela!

Martin Pescatori, uccellini spulciatori bianchi e neri, ippopotami, baobab, signori in canoa che ci guardano a buon diritto come fossimo delle fave mentre, enorme il cielo e sempre più enorme lo Shire, ci addentriamo nei meandri del Parco Nazionale di Liwonde.
A bordo sono con Dario, il mio collega, Miriam e Khun, una coppia olandese in vacanza, un ragazzo ed una ragazza malawiani e Billy, la nostra guida, accompagnato dal suo assistente.
Billy è esaltante. Il suo sorriso è splendente e ci racconta le storie degli animali e del fiume come fossimo bambini. Poi scopriamo che prima di accompagnare per mano gli esseri urbani in uno dei tanti cuori dell’Africa, era un contabile e faceva parte dello staff di 5 persone che per primo mise in piedi un quotidiano al tramonto della dittatura, all’inizio degli anni Novanta. Questo mi entusiasma ancora di più e inizio a tempestare il compagno Billy di domande quando come per magia... gli elefanti!!!

È incredibile! Veri, a frotte, piccoli, grandi, maestosi, pacifici! E, quel che è più, non mi trovo a Pistoia e non c’è puzza di Moira Orfei nei paraggi! Sono davvero a un passo da noi e Billy ci fa notare quanto siamo fighi ad andare così vicino alla costa per osservarli, mentre l’altra barca di turisti danarosi s’è fermata a 500 metri da qui e già sta facendo ritorno.
Dopo una buona mezz’ora e tonnellate di foto sulle quali, entusiasti come bambini, non abbiamo lesinato, decidiamo di riprendere la navigazione e muoverci alla volta dei coccodrilli.
...
...
...
Krruktktktktk
Ktrrrrrrrrrrrrrrrrutktktkt
KTRRRRRRRRRRRRRRUUUUUUUUKTOROTOROTOROTOROTOROTOROTOROTOTOTOTOTOTOTOTOTO
Ffffiuuù... per un attimo avevamo tutti temuto il peggio, il motore sembrava esitare a ripartire! Ahahah! Che sciocchina!
TOTOTOTOTOTOTOTOTOto-to-ttto-tto-to-to.
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Sguardi allarmati tra Billy ed il suo secondo si avvicendano rapidi come fucilate sulle nostre teste. Il compagno addetto al motore lo scoperchia, mentre uno dei ragazzi malawiani a bordo recupera una canna incastrata sul tettino della barca ed inizia a ravanare nella zona dell’elica. Sento la tensione nell’aria ed io che SONO la tensione, di certe cose me ne intendo.
Siamo stati così fighi che le alghette ed il fango della riva alla quale ci siamo avvicinati a motore acceso per fare amicizia con i lungonasuti animaloni, si sono infilati chissà dove ed ora LA BARCA NON VA PIÙ!!! Il motore si avvia, ma non ci assiste ed ora tutti gli armeggiano intorno mentre il nostro natante si lascia trasporare dalla corrente. E così duriamo per un’ora e mezzo. Dei compagni di viaggio, manco a dirlo, la più esagitata sono io. Due a dire il vero se la dormono pure, ma sono novanta minuti che Billy ci ripete che tra un attimo arriverà qualcuno e noi invece continuiamo a navigare a casaccio per lo Shire. Ed allo scoccare del novantunesimo, come quando sul 3-0 credi che non possa oramai andare peggio di così, il motore smette COMPLETAMENTE di andare! Il silenzio si abbatte su di noi come una martellata sulle ginocchia e tutta la poesia del momento, il placido rumore dell’acqua, il canto degli uccelli ed il fruscio dei canneti, si dilegua in meno di un secondo, rimpiazzata da meno piacevoli pensieri e dai rumori delle bestie di 3000 kg che si aggirano intorno a noi.

Penso a Kurtz. Penso a Marlow ed al vecchio medico che lo visitò prima che lasciasse l’Inghilterra: “Avoid irritation more than exposure to the sun! In the tropics one must before everything keep calm”. Penso a Piero Angela e a Steve Irwin. Penso all’IPPOPOTAMO che SI STA AVVICINANDO! Gli ippopotami – se non ve lo ha detto Piero Angela, ve lo dico io – emettono dei versi abbastanza conturbanti, come dei grugniti infernali, il cui suono è reso ancora più sordo dalla presenza dell’acqua, che in qualche modo attutisce il rumore, ma lo rende anche molto più inquietante. Sempre se nelle sere d’estate da bambini avevate dei buoni amichetti con cui giocare – evidentemente a differenza della sottoscritta – vi dico pure che l’ippopotamo ha delle fauci ENORMI e dei denti delle dimensioni delle nostre dita. Viste? Ecco, proprio così.

L’ippopotamo dunque ci osserva, avvicinandosi e ripensandoci, per poi decidere di immergersi e nuotare sotto l’acqua. Cerchiamo di seguire il movimento delle bolle, che sembrano allontanarsi, nonostante un paio di volte la barca ondeggi in maniera insolita, permettendo all’adrenalina di librarsi gaudiosa nel mio sistema nervoso. Ma se la paura di essere sbranata dall’ippopotamo riesco a contenerla entro i limiti della decenza (in tempi non sospetti Billy ci aveva spiegato che la barca pesa 5 tonnellate e l’ippopotamo solo 3, dunque non dovremmo correre troppi rischi in caso al bestione gli pigliassero i cinque minuti), quando fa capolino anche il compagno coccodrillo scatta davvero il terrore. Il TE-RRO-RE. E scattano pure i fioretti. Anche i tranquilloni della situazione che sono a bordo mostrano segnali di allarme. Afferro il telefono e faccio per scrivere un messaggio alla mia amica del cuore. Lo ripongo perché so di essere preda del FREAK-OUT, ma non ce la posso fare. Ho visto troppi documentari su storie agghiaccianti per non udire una voce estranea sussurrarmi nelle orecchie: “Ah-ha! Te piacevano eh, le disgrazie dell’artri”, alla quale fa immediatamente eco la guardia pontificia che provò ad arrestare il marchese del Grillo: “E mò so’cazzi tua! So’caaaaaazzi tua!”. Uno dei ragazzi malawiani, che aveva con sé una fionda, inizia a lanciare COSE verso l’acqua. Scoprirò dopo che mirava ai coccodrilli. Continuo a chiedere quando arriveranno i soccorsi e penso alla Guardia Costiera di Ostia e a quel baldo giovine in servizio sul litorale romano a cui non potrò mai riportare i fuochi di segnalazione scaduti. 

Sono trascorse praticamente due ore e da qualche parola che Billy scambia col suo secondo intendo che qualcosa sta succedendo! Qualcosa di buono, evidentemente, poiché da dietro un’isoletta spunta un barcozzo rombante pilotato da un giovane che adesso mi sembra ancora più bello del mio guardacoste! Siamo salvi!!!

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